La chiesa di Sant'Alessandro in Zebedia è un luogo di culto cattolico, situato nel centro storico di Milano.
Essa è situata nel luogo dove la tradizione narra che fu tenuto prigioniero Sant'Alessandro martire.
L'appellativo in Zebedia deriva dal nome del carcere in cui fu rinchiuso il martire, che appunto si chiamava Zebedia.
La chiesa di Sant'Alessandro è situata nell'omonima piazza, non lontana da via Torino.
La facciata, decorata da bassorilievi, secondo il modello iniziale rinascimentale, è affiancata da due campanili.
L'andamento del fastigio ricurvo le imprime una certa orizzontalità che esula dall'impostazione iniziale di questa tipologia rinascimentale.
La parte inferiore, scandita da colonne e paraste in pietra che reggono il massiccio cornicione, è antecedente al 1620.
Il coronamento superiore, leggero e ondulato, fu invece realizzato all'inizio del Settecento nello stile del barocchetto lombardo.
La struttura a due campanili è considerata uno dei più illustri antecedenti della celebre facciata borrominiana di sant'Agnese in Agone.
La monumentale fabbrica è costituita da un edificio a pianta centrale (croce greca) coperto da cupola cui è aggiunto un secondo corpo minore, anch'esso sovrastato da una cupola, che funge da presbiterio.
Le opere pittoriche che decorano il ricco interno barocco sono una bella galleria di arte lombarda del '6-700, con tele di Camillo Procaccini (Assunta, nell'ultima cappella della navata destra - il Presepio, definito una delle migliori di questo autore, nella cappella di testa della navata destra - Crocefissione nella prima cappella a sinistra) e Daniele Crespi (Giovanni Battista martire e Salomè).
Altra tela di pregio quella dell'Ossana, nella prima cappella a destra entrando.
Il tempio contiene anche eccezionali opere d'arte applicata, rappresentate dai confessionali, dal pulpito, dal coro e dagli altari.
Il pulpito e i due confessionali posti di fronte all'altare maggiore sono spettacolari esempi d'arte barocca, interamente rivestiti da pietre dure intagliate.
Risalgono al 1661, e sono attribuiti al celebre intagliatore Carlo Garavaglia, anche se in assenza di fonti specifiche.
Queste opere mostrano contemporaneamente rigore geometrico nella definizione delle linee, e ridondante gusto barocco nella decorazione policroma delle pietre, che sembra ispirarsi a opere di intaglio tardomedioevale.
In queste opere il forte impatto estetico è ottenuto principalmente attraverso il risalto attribuito alla rarità e bellezza dei materiali in sé, mentre i disegni si mostrano semplici e geometrici.
Le uniche decorazioni figurative presenti sul confessionale sono il volto di Cristo al centro e l'insolito motivo delle sue orme dei piedi nei pannelli laterali. il pulpito, successivo ai confessionali, mostra materiali ancor più ricercati nella copertura della colonna di sostegno, del parapetto e del baldacchino.
In vari punti è presente il tema decorativo della melagrana, allegoria dell'eloquenza. le opere furono finanziate dal fratello dell'allora rettore dei barnabiti, il Marchese Alessandro Visconti di Modrone.
La prima cappella a destra è intitolata a san Pancrazio, già titolare dell'oratorio abbattuto per far posto alla chiesa.
La tela al centro raffigura il Martirio di san Pancrazio, opera della seconda metà del Seicento di un allievo di Camillo Procaccini, Ossona, è invece settecentesca la decorazione a fresco con le quadrature architettoniche ed i putti.
La ricca decorazione della seconda cappella, la cappella di San Giuseppe con l'altare in marmi liguri, fu elargita dalla marchesa Costanza Balbi Cusani, nobile genovese.
L'intera decorazione ad affresco così come le tele risalgono alla seconda metà del Seicento e appartengono alla mano di Agostino Santagostino.
La pala d'altare, firmata e datata 1677, è un'imponente macchina barocca che mette in scena la Madonna con il bambino circondata da san Giuseppe, sant'Anna e san Giovannino attorniati da angeli, mentre dall'alto si protendono Dio padre e lo Spirito Santo.
Completano l'altare l'Amor di Dio e il Timor di Dio firmate sul basamento da Stefano Sampietro (1626).
Al centro della terza cappella spicca l'Assunta, opera tarda di Camillo Procaccini (1612), dai toni semplici, pacati e armoniosi.
Conclude la navata destra la cappella della natività, con il capolavoro di Camillo Procaccini del 1615, Adorazione dei pastori.
L'altare centrale è fra i più ricchi ed elaborati di Milano, opera di intaglio costituita da marmi pregiati, bronzo e pietre preziose.
Fu donato dalla famiglia Visconti di Modrone e realizzato da Giovanni Battista Riccardi detto il Donnino nel quarto decennio del Settecento.
Al centro, il rilievo con il Seppellimento di sant'Alessandro.
Il grande coro dei Barnabiti, in noce, è decorato a colonnine tortili e a motivi vegetali.
La navata sinistra si apre con la cappella del Crocefisso, che presenta un altare marmoreo seicentesco dalla sobria struttura classica, con al centro l'austera pala di Camillo Procaccini, che concentra l'attenzione sulle tragiche figure che occupano interamente la scena, senza alcuna aggiunta di particolari fuorvianti, in piena osservanza ai dettami del Concilio di Trento in materia di opere pittoriche.
La cupola antistante è dedicata alle sante penitenti.
La decorazione del secondo altare, dedicato a Maria, si presenta più ricca degli altri: è ornato da due timpani, volute laterali, inserti in marmi policromi, bronzi e legno.
Sulla volta dell'arcone antistante, la maestosa Gloria dei Profeti fu dipinta da Francesco Giuseppe Anguiano nel 1696.
La terza cappella è decorata con la tela attribuita a Daniele Crespi con la Decollazione del Battista, capolavoro del secondo decennio del Seicento.
Il momento della decapitazione di Giovanni è rappresentato avvolto nell'oscurità, spezzata da improvvisi accenti luministici che fanno emergere i numerosi personaggi.
La luce si concentra principalmente sull'incarnato livido del martire al centro, dall'atteggiamento rassegnato, e sul drappo rosso che lo riveste.
La luce scorre quindi sul sensuale seno di Salomè.
I suoi lineamenti delicati e perlacei sono esaltati dal diretto confronto con la pelle scura e rugosa della serva ritratta accanto, secondo il ricorrente tòpos barocco.
Restano invece immersi nelle tenebre il muscoloso carnefice che brandisce la spada e gli altri soldati che completano simmetricamente la scena.
La decorazione della quarta cappella fu rifatta a metà dell'Ottocento quando ne fu modificata la dedicazione a sant'Alessandro Sauli, eliminando le opere dedicate a san Carlo.
La sagrestia possiede una ricca e sontuosa decorazione ad affresco che ne copre la volta e le pareti al di sopra degli armadi intagliati, ad opera del Moncalvo e dei Fiammenghini.
Il vastissimo ciclo di pittura ad affresco che ricopre completamente gli arconi, i voltini, e le sette cupole minori, ha il suo culmine nella cupola maggiore che rappresenta il Paradiso.
Fu compiuta in quattro anni (1693-1697) da Filippo Abbiati e Federico Bianchi, con l'aiuto di Martino Cignaroli ed altri.
Nei pennacchi è l'inconsueta rappresentazione di quattro virtù, Agilità, Sottigliezza, Impassibilità e Chiarezza.
Sul tamburo, fra le finestre, vi sono episodi biblici.
Il paradiso è rappresentato su ispirazione dei coevi modelli romani e napoletani, con particolare attenzione a Luca Giordano, attraverso una serie di cerchi concentrici che salgono verso la trinità, e raffigurano i santi barnabiti, i fondatori di ordini religiosi, vescovi, papi e santi.