Il Palazzo Te è un edificio monumentale di Mantova, costruito tra il 1524 e il 1534 su commissione di Federico II Gonzaga, è l'opera più celebre dell'architetto italiano Giulio Romano.
Il complesso è oggi sede del Museo Civico e, dal 1990, del Centro internazionale d'arte e di cultura di Palazzo Te che organizza mostre d'arte antica e moderna e di architettura.
Verso la metà del XV secolo Mantova era divisa dal canale Rio in due grandi isole circondate dai laghi; una terza piccola isola, chiamata sin dal Medioevo Tejeto e abbreviata in The, venne scelta per l'edificazione del Palazzo Te.
Le prime testimonianze in merito alla presenza della fabbrica del Te si hanno nel 1526, quando viene citato un edificio in costruzione che sorge vicino alla città, tra i laghi, sulla direttrice della Chiesa e del Palazzo di San Sebastiano.
La zona risultava paludosa e lacustre, ma i Gonzaga la fecero bonificare e Francesco II la scelse come luogo di addestramento dei suoi pregiati e amati cavalli.
Morto il padre e divenuto signore di Mantova, Federico II, suo figlio, decise di trasformare l'isoletta nel luogo dello svago e del riposo e dei festosi ricevimenti con gli ospiti più illustri, dove poter sottrarsi ai doveri istituzionali assieme alla sua amante Isabella Boschetti.
Abituato com'era stato sin da bambino all'agio e alla raffinatezza delle ville romane, trovò ottimo realizzatore della sua idea di "isola felice" l'architetto pittore Giulio Romano e alcuni suoi collaboratori, tra cui Raffaellino del Colle con cui aveva lavorato a Roma al seguito di Raffaello.
Alternando gli elementi architettonici a quelli naturali che la zona offriva, decorando sublimemente stanze e facciate, l'architetto espresse tutta la sua fantasia e bravura nella costruzione di Palazzo Te.
Altri pittori collaborarono agli ambienti del palazzo, tra questi: Raffaele Albarini, Giorgio Anselmi, Francesco Primaticcio, Fermo Ghisoni, Giovan Francesco Penni, Gerolamo Staffieri, Benedetto Pagni, Rinaldo Mantovano, Giovan Battista Mantovano.
In occasione della visita di Carlo V, Giulio Romano ebbe l'incarico di riunire il Palazzo con il castello mediante una nuova serie di sale, gallerie, scaloni, logge e cortili.
Il palazzo è un edificio a pianta quadrata con al centro un grande cortile quadrato anch'esso, un tempo decorato con un labirinto, con quattro entrate sui quattro lati (Giulio Romano si ispira nell'impianto alla descrizione vitruviana della casa di abitazione: la “domus romana” con quattro entrate, ciascuna su uno dei quattro lati).
Il palazzo ha proporzioni insolite: si presenta come un largo e basso blocco, a un piano solo, la cui altezza è circa un quarto della larghezza.
Il complesso è simmetrico secondo un asse longitudinale.
Sul lato principale dell'asse (a nord-ovest) l'apertura di ingresso è un vestibolo quadrato, con quattro colonne che lo dividono in tre navate.
La volta della navata centrale è a botte e le due laterali mostrano un soffitto piano (alla maniera dell'atrium descritto da Vitruvio e che tanto ebbe successo nei palazzi italiani del Cinquecento), in questo modo assume una conformazione a serliana estrusa.
L'entrata principale (a sud - est) verso la città e il giardino è una loggia, la cosiddetta Loggia Grande, all'esterno composta da tre grandi arcate su colonne binate a comporre una successione di serliane, che si specchiano nelle piccole peschiere antistanti.
La balconata continua al secondo registro, sulla parte alta della facciata era in origine una loggia; questo lato del palazzo fu infatti ampiamente rimaneggiato alla fine del '700, quando fu aggiunto anche il frontone triangolare che sormonta le grandi serliane centrali.
Le facciate esterne sono su due livelli (registri), uniti da paraste lisce doriche di ordine gigante.
Gli intercolumni variano secondo un ritmo complesso.
Tutta la superficie esterna è trattata a bugnato (comprese le cornici delle finestre e delle porte) più marcato al primo registro:
- Il primo registro bugnato, ha finestre rettangolari incorniciate da conci sporgenti (bugne rustiche).
- Il secondo registro ha un bugnato più liscio e regolare, con finestre quadrate senza cornice
Il cortile interno segue anch'esso un ordine dorico ma qui su colonne (semicolonne) di marmo lasciate quasi grezze sormontate da una possente trabeazione dorica.
Qui la superficie parietale è trattata con un bugnato rustico non troppo marcato, regolare e omogeneo senza rilevanti differenze fra primo e secondo registro.
Giulio Romano ispirandosi a un linguaggio architettonico classico, lo reinterpreta creando un'opera con un ricco campionario di invenzioni stilistiche, reminiscenze archeologiche, spunti naturali e decorativi, quali ad esempio:
- colonne giganti doriche inglobate in superfici parietali trattare a blocchi di pietra a superficie rustica
- alcuni conci del triglifo cadenti nel fregio della trabeazione che circonda e corona il cortile quadrato. Lo si può notare nelle facciate sull'asse longitudinale (ossia nord-ovest e sud-est), al centro di ogni intercolumnio un triglifo che sembra scivolare verso il basso, come fosse un concio in chiave d'arco; su questi due lati anche gli intercolumni, come all'esterno, non sono tutti uguali.
Questi dettagli spiazzano l'osservatore e danno una sensazione di non finito all'insieme.
Pare che il palazzo fosse, in origine, dipinto anche in esterno, ma i colori sono scomparsi mentre rimangono gli affreschi interni eseguiti dallo stesso Giulio Romano e da molti collaboratori.
Oltre agli affreschi le pareti erano arricchite da tendaggi e applicazioni di cuoio dorate e argentate, le porte di legni intarsiati e bronzi e i caminetti costituiti di nobili marmi.
I terremoti dell'Emilia del 2012 hanno provocato danni ad alcune sale del palazzo gonzaghesco.
- Sala dei giganti: l'affresco della “Caduta dei Giganti” fu dipinto fra il 1532 e il 1535 ricoprendo la sala dalle pareti al soffitto con l'illusionistica rappresentazione della battaglia tra i Giganti che tentano di salire all'Olimpo e Zeus
- Sala grande dei cavalli: con i ritratti in grandezza naturale dei sei destrieri preferiti dei Gonzaga era la sala destinata al ballo.
I cavalli, spiccano in tutta la bellezza delle loro forme su un paesaggio naturale che si apre dietro alcune colonne corinzie dipinte e che alternano i purosangue a figure di divinità mitologiche in false nicchie.
Il soffitto in legno a cassettoni e rosoni dorati accoglie il monte Olimpo e il ramarro, i simboli del duca e il suo schema è ripreso dal pavimento donando simmetria all'ambiente (il pavimento non è rimasto l'originale del tempo). - Sala di Amore e Psiche: è la sala da pranzo del duca.
Interamente affrescata, ogni parete raffigura lussuriosa la mitologica storia di Psiche, è il simbolo dell'amore del duca per Isabella Boschetti.
La fonte letteraria sono le metamorfosi di Apuleio.
Alle altre due pareti, senza relazioni con la vicenda, sono presenti episodi mitologici con Marte e Venere e, sopra le finestre e il camino, vari amori divini. - Sala delle aquile: camera da letto di Federico ornata al centro della volta con l'affresco della caduta di Fetonte dal carro del sole, è finita da scuri stucchi di aquile ad ali spiegate nelle lunette agli angoli della stanza e affreschi di favole pagane.
- Sala dei venti o dello zodiaco
- Sala delle imprese
- Sala di Ovidio
- Camera del Sole
- Sala dei bassorilievi e Sala dei Cesari: sono salette chiaramente omaggianti l'imperatore Carlo V da cui Federico ottenne nel 1530 il titolo di duca.
- Loggia d'onore: è la loggia che si affaccia alle pescherie, parallela a quella "Grande" che segna l'ingresso del palazzo e mostra l'incantevole visuale del giardino che si chiude a nord con l'esedra.
La volta è divisa in grandi riquadri con cornici di canne palustri nei quali è rappresentata storia biblica di Davide.
Colonne e statue nelle nicchie completano il loggiato.
Tutta questa parte della villa elogia, attraverso le pitture e i simboli dell'arte romana e del paganesimo dei miti dell'Olimpo, la figura dell'imperatore Carlo V, ma ecco palesarsi uno dei "segnali" celati di stampo politico, in tutte le vicende rappresentate l'attenzione posta sulla forza e l'importanza del grande Giove pare offuscarne il prestigio.